Pio Semeghini usa il linguaggio della pittura come segno poetico che, nella semplificazione della struttura volumetrica e rarefazione del colore, trova espressione nella serie di pupe e nei ritratti, nelle nature morte e nei paesaggi di terra e di mare. Ed è proprio con l’affermazione della verità , raggiunta per mezzo della consapevolezza che gli strumenti di identificazione della verità stessa sono relativi, con l’atteggiamento artistico e con il motivo poetico che fanno di Pio Semeghini un pittore di riferimento. Pio Antonio Semeghini, esponente del Chiarismo e della Scuola di Burano, (Bondanello di Quistello, provincia di Mantova, 31/01/1878 - Verona 11/03/1964) nasce da Giuseppe ed Emilia Zanini. È il terzogenito di quattro fratelli (Elvira, nata nel 1870 e morta nel 1886, Antonio, nato nel 1875 e morto nel 1931, ed Enrico Guido, nato nel 1880 e morto nel 1962). Il padre molto burbero fece fatica ad accettare le scelte di Pio, che lascia presto la scuola, insofferente della disciplina e desideroso di trovare la sua strada di artista. Nell 1916 lo troviamo a Venezia, come testimonia un biglietto del 20/2/1916. Nel 1919 successe qualcosa di nuovo: prima di essere chiamato alle armi conobbe il primitivo gruppo dei pittori di Burano e il loro nume tutelare Nino Barbantini, con il quale ha intrattenuto corrispondenza anche durante la guerra. È proprio Barbantini ad invitarlo alla sua prima esposizione nella rinnovata Ca’ Pesaro della Fondazione Bevilacqua La Masa, che riapre i battenti con la “XI Esposizione d’Arte in Palazzo Pesaro a Venezia - Anno 1919†(13 luglio – 5 ottobre 1919). La stampa è concorde nel riconoscere in Semeghini un artista di primo piano sulla scena nazionale, con qualche equivoco, come quello di Carrà che fece gli auguri al giovane pittore, riconoscendo in lui la stoffa dell’artista. Gino Damerini (Gazzetta di Venezia, del 18/7/1919) individua radici impressioniste, cui si aggiungono “... il sintetismo e la ricerca dei volumiâ€. Con lui espongono Gino Rossi (8 pitture e alcuni disegni), Felice Casorati, Guido Cadorin e Umberto Moggioli (deceduto a Roma da pochi mesi), e alcuni nomi nuovi: i veronesi Guido Trentini, Angelo Zamboni, Antonio Nardi. Dopo la prima Personale nel 1922, partecipa nel 1926 alla XV Biennale Internazionale d’Arte di Venezia dove espone con Gino Rossi, Nino Springolo e Filippo de Pisis. Alla kermesse veneziana tornerà numerose volte, con una sala personale nel 1950 e successivamente nel 1964. Nel 1931 partecipa alla Prima Quadriennale D’Arte Nazionale, dal 3 gennaio al 15 giugno, al Palazzo delle Esposizioni. Semeghini vi partecipa su invito con cinque opere, esposte nella sala XX (che accoglieva due piccole personali di Guidi e di funi): Bragozzo, La Giudecca, Orto Buranello, Signora in giallo, Gigetta. Il 1932 è un anno discretamente ricco di partecipazioni ad esposizioni e di interventi critici a suo favore, firmati da personaggi quali Carlo Carrà , Alberto Francini, Lamberto Vitali ed altri, con un’analisi in cui i riferimenti più interessanti sono all’ultimo Bonnard e, specialmente per la grafica, a Piccio, indicando un gusto del femminino adolescenziale che accomuna le buranelle e le donne di Semeghini a quelle di Renoir e ancora a quelle di Piccio; infine, il cézannismo presente nella costruzione dei suoi quadri gli ha fatto superare l’impasse ottocentesca di tanti suoi coevi e ha fatto di Semeghini un caposcuola riconosciuto e purtroppo, fiaccamente imitato sia in Veneto che in Lombardia. Nel 1936 l’avvenimento centrale dell’anno è la XX Biennale Veneziana, cui Semeghini è invitato ed espone nella sala XL sei oli e due cartelle di disegni (che non compaiono in catalogo, ma sono ricordati dalla lettera di Juti Ravenna che di seguito trascriveremo): Testa di donna, Il Lambro, Fiori, Paesaggio in Brianza, Natura morta. Dopo il 1945 si susseguono negli anni partecipazioni come a La Biennale di Venezia, ad importanti mostre, a premi e favori di critica. I primi anni ’50 sono segnati da sempre più importanti partecipazioni a manifestazioni ed esposizioni in Italia e all’estero fino al 1956, anno che consacra il lavoro e la pazienza di un artista giunto ormai alla soglia degli ottant’anni, quando Licisco Magagnato, direttore dei Musei Civici di Verona, con la collaborazione di Carlo Ludovico Raggianti e Giuseppe Marchiori, realizza la prima ed unica mostra antologica vivente del Maestro: prima al palazzo della Gran Guardia in Verona, quindi all’Opera Bevilacqua La Masa di Venezia e infine al Palazzo della Permanente di Milano. Nel 1960 un banale incidente domestico procura a Semeghini una lussazione all’omero destro che gli impedirà di dipingere per sempre. Semeghini muore l’11 marzo del 1964 ma la sua esistenza prosegue idealmente nella mostra alla XXXII Biennale Internazionale d’Arte di Venezia con una personale, voluta da Piero Zampetti e da Licisco Magagnato.